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Titolo: La Ragazza di Neve Autore: Javier Castillo Genere: Thriller Ambientazione: New York, USA Tempo: Fra il 1998 e il 2011 Pagine: 344 Casa Editrice: Salani Editore Titolo originale: La Chica de Nieve
Nel novembre del 1998 i coniugi Templeton parteciparono alla sfilata del Giorno del Ringraziamento assieme alla loro piccola Kiera. Bastò un solo momento di distrazione, sommato al caos generale scoppiato all'improvviso fra la folla e la bimba sparì completamente nel nulla, come evaporata. A nulla servirono le ricerche della polizia, né quelle dell'FBI che presero in carico in caso subito dopo: Kiera non si trovava da nessuna parte. Poco a poco che il tempo passa, le autorità si vedono costrette a rinunciare a proseguire le ricerche per mancanza di piste valide. A rimanere al fianco della famiglia distrutta è solo l'agente Miller, mentre su un altro fronte, silenziosamente continua ad operare anche la giovane giornalista Miren Triggs che ha promesso a se stessa di ritrovare la bambina a tutti i costi e per farlo sembra intenzionata a usare ogni mezzo.
E' una storia strutturata in maniera decisamente singolare, dato che i capitoli non seguono il normale flusso cronologico, ma saltano continuamente da un intervallo di tempo ad un altro, cambiando spesso anche narratore. Il caso in sé è ben pensato e sicuramente originale. Mi ha colpito molto l'abilità di far emergere i sentimenti delle varie parti coinvolte in maniera davvero molto accurata al punto da sembrare realistica, ma se devo dirla tutta non ho apprezzato molto alcune scelte narrative circa la fine che alcuni personaggi fanno. Nei romanzi/film drammatici i critici si servono spesso del termine "p0rn0gr4fi4 del dolore" per indicare scelte registiche o di sceneggiatura che portano gli eventi ad un'escalation di tragedie mirate solo a far piangere o comunque commuovere lo spettatore senza che sia così necessario. Mi domando se esista un concetto simile anche per i thriller dove le tragedie più che drammatiche sono nefaste, perché se esiste, credo che in parte questo romanzo abusi un po' della fatalità che caratterizza un thriller e questo lo si capisce già dal fatto che la giornalista ha un background personale davvero tragico e di cui, devo ammettere, sino alla fine non ho compreso il nesso. Perché Miren Triggs dice di sentirsi legata alla bambina scomparsa? Dopotutto lei non è stata vittima di rapimento né orfana. I fatti che le sono accaduti sono sicuramente orribili ma continuo a non capire come questo possa giustificare la sua empatia (se non addirittura ossessione) per il caso. E anche le volte in cui lei dice cose come "nei suoi occhi mi sono rivista" ho comunque avuto sempre l'impressione che si trattasse di una giustificazione un po' tirata per i capelli, appunto perché ripeto, sono state vittime di due crimini completamente differenti. Se a prendere in carico il caso fosse stata una giornalista con un passato come quello di Kiera o al contrario una giovane madre, avrebbe avuto più senso. Il resto invece devo dire che è buono. Tolti questi aspetti, la storia scorre fluida e cattura l'attenzione. E' un romanzo che va preso senza troppe pretese, a mio avviso. Non ho apprezzato invece il cliffhanger sul finale, come se fosse l'ultimo episodio di una serie tv, ma è una preferenza personale.
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